mercoledì 8 febbraio 2017

Libia, il patto con il paese che non esiste- Un articolo di Lucio Caracciolo sul recente accordo italo - libico per regolare le migrazioni -


RUBRICA IL PUNTO Sono passati oltre cinque anni da quando liquidammo Gheddafi, al seguito di un avventuroso colpo di Stato franco-britannico. Da allora, sembra che lo sport preferito da noi europei sia la caccia a un suo degno successore, con il quale ristabilire lo scambio soldi contro blocco dei migranti che tanto brillantemente aveva funzionato.

Che senso ha firmare un accordo internazionale con un paese che non esiste?

Tre le risposte possibili: per inconsapevolezza della realtà; per disperazione; perché serve ad altri scopi.

Nel caso del memorandum d’intesa fra Italia e Libia, destinato a bloccare i flussi migratori illegali verso il nostro paese e il resto d’Europa, la prima ipotesi è esclusa.

Il nostro governo è perfettamente informato della situazione sul terreno, come e più dei partner (si fa per dire) comunitari, i quali ieri al vertice di Malta hanno solennemente benedetto l’intesa italo-libica.

La nostra ex colonia è infatti terra di nessuno, contesa fra centinaia di milizie e gruppi criminali di varia origine. Con tre pseudogoverni: quello internazionalmente riconosciuto di Fayez Mustafa al-Serraj, con cui abbiamo firmato l’accordo, che controlla – non da solo – i suoi uffici di Tripoli; il gabinetto rivale, insediato in un albergo tripolino, presieduto da Khalifa Ghwell; l’entità cirenaica, radicata a Tobruk, che ha nel generale Khalifa Haftar il suo uomo forte – peraltro ancora incapace di prendere il controllo di Bengasi.

La disperazione è invece un buon motivo.

Niente come la paura del migrante, tanto più se arabo e musulmano, agita le opinioni pubbliche occidentali. Trump ci ha costruito la fulminante ascesa alla guida della superpotenza americana. I partiti xenofobi in Europa vi puntano per allargare il consenso o mirare direttamente al governo, spingendo le forze politiche tradizionali a stravolgere la loro agenda più o meno liberale, pena la sconfitta alle urne. Meglio un accordo simbolico – un accordo con se stessi – che nulla.

La terza ipotesi è inverificabile per definizione. Entriamo nel campo delle operazioni coperte, che in un paese serio tali devono restare. Ma quando gli strumenti ufficiali non funzionano, è normale ricorrere a quelli almeno formalmente invisibili.

Dove non possono o non vogliono gli interlocutori tripolitani, potranno e vorranno eventualmente militari e funzionari di alcuni paesi europei, tra cui il nostro. L’importante è che non siano troppo palesi. Perché in quel caso scatenerebbero l’ennesima faida fra i “governi” locali su chi si è venduto allo straniero. E in cambio di che cosa. Serraj si è già molto esposto su questo fronte, sicché rischia di apparire asservito agli italiani.

Il fulcro del memorandum italo-libico è il controllo delle frontiere. Quelle marittime verrebbero affidate in prima battuta alla sedicente guardia costiera libica, certo non la più robusta fra le flotte delle entità locali che scorrazzano lungo la costa mediterranea, partecipando ai lucrosi traffici che teoricamente dovrebbero impedire.

Ancora più improbabile l’idea di sigillare le frontiere desertiche meridionali, da cui proviene la massa dei migranti.

Quanto ai “valori europei” e ai “diritti umani” proclamati a Malta, è arduo capire come si concilino con l’obiettivo di sistemare i migranti illegali nei centri di accoglienza libici, dove si segnalano le più brutali violenze. Né è corretto sostenere che si tratti in massima parte di migranti economici, se valgono i dati dell’Unhcr per cui nei primi tre trimestri del 2016 il 45% di chi è sbarcato in Italia avrebbe diritto a qualche forma di protezione internazionale.

Sono passati ormai cinque anni da quando liquidammo Gheddafi, al seguito di un avventuroso colpo di Stato franco-britannico, che sarebbe fallito senza l’arrivo in extremis della cavalleria americana.

Da allora, sembra che lo sport preferito da noi europei sia la caccia a un suo degno successore, con il quale ristabilire lo scambio soldi contro blocco dei migranti (leggi: loro detenzione in lugubri prigioni) che tanto brillantemente aveva funzionato.

Chiuderemo qualche corridoio, a prezzi che sarà meglio non conoscere, altri se ne apriranno.

L’unica certezza è che andremo ai tempi supplementari.






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