domenica 26 febbraio 2017

IL MINISTRO DELRIO IN CINA LANCIA IL PORTO DI TRIESTE PER LA "VIA DELLA SETA" ED ESPRIME GRAVI DUBBI SULL' OFF-SHORE DI VENEZIA - ARTICOLO DEL SOLE 24 ORE: LA STAMPA LOCALE TACE...



Il Sole 24 Ore, il prestigioso giornale economico, oggi parla degli aspetti portuali della visita in Cina di Mattarella ed alcuni ministri a pag.23:

"Il tema del giorno è stato la logistica, e non poteva essere diversamente. Di Chongqing, la megalopoli cinese che allunga i tentacoli infrastrutturali dal centro della Cina all’Europa, Graziano Delrio, ministro delle Infrastrutture, al seguito della visita ufficiale presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha visitato l’enorme area di sviluppo di Longjiang, confermando poi di aver illustrato ai cinesi nella capitale – in primis il vice della National Development and Reform Commission (Ndrc) Ning Jizhe e il ministro dei Trasporti - le opportunità del sistema portuale italiano, in vista di accordi coordinati tra i vari scali.
D’ora in poi, come è noto, il ministero gestirà il coordinamento dei porti a seguito del varo della tanto sospirata riforma. In lizza ci sono soprattutto quelli dell’Alto Adriatico con Trieste che nell’ultimo anno – ha detto il ministro – ha fatto passi da gigante gestendo l’arrivo del carico di ben 7.200 treni, ma ci sono anche Venezia e Genova, specie Vado Ligure, entrato già nell’area di China Cosco Shipping.
Italia come porta di accesso tra Est e Ovest, quindi, punto di arrivo e smistamento del traffico dal mare alla terra, anche se sul potenziale porto offshore di Venezia per il cui progetto il bando è stato appena vinto da China Communications Construction Company (Cccc), la questione non potrebbe essere più complicata. Una rottura di carico (separazione di un carico completo in tante partite per il proseguimento del trasporto su due o più mezzi più piccoli, come avviene in una procedura standard di transito) a Venezia, in offshore, sarebbe complicate da gestire. Con il cambio della guardia ai vertici dell’autorità portuale, si vedrà."



QUI DI SEGUITO IL TESTO COMPLETO:




I porti italiani guardano a Pechino

Delrio: un gruppo di lavoro con la banca Icbc studierà come finanziare i progetti


Il tema del giorno è stato la logistica, e non poteva essere diversamente. Di Chongqing, la megalopoli cinese che allunga i tentacoli infrastrutturali dal centro della Cina all’Europa, Graziano Delrio, ministro delle Infrastrutture, al seguito della visita ufficiale presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha visitato l’enorme area di sviluppo di Longjiang, confermando poi di aver illustrato ai cinesi nella capitale – in primis il vice della National Development and Reform Commission (Ndrc) Ning Jizhe e il ministro dei Trasporti - le opportunità del sistema portuale italiano, in vista di accordi coordinati tra i vari scali.
D’ora in poi, come è noto, il ministero gestirà il coordinamento dei porti a seguito del varo della tanto sospirata riforma. In lizza ci sono soprattutto quelli dell’Alto Adriatico con Trieste che nell’ultimo anno – ha detto il ministro – ha fatto passi da gigante gestendo l’arrivo del carico di ben 7.200 treni, ma ci sono anche Venezia e Genova, specie Vado Ligure, entrato già nell’area di China Cosco Shipping.
Italia come porta di accesso tra Est e Ovest, quindi, punto di arrivo e smistamento del traffico dal mare alla terra, anche se sul potenziale porto offshore di Venezia per il cui progetto il bando è stato appena vinto da China Communications Construction Company (Cccc), la questione non potrebbe essere più complicata. Una rottura di carico (separazione di un carico completo in tante partite per il proseguimento del tra-
sporto su due o più mezzi più piccoli, come avviene in una procedura standard di transito) a Venezia, in offshore, sarebbe complicate da gestire. Con il cambio della guardia ai vertici dell’autorità portuale, si vedrà.
Graziano Delrio ha reso noto che si è creato in Industrial and Commercial Bank of China (Icbc) - di cui ha incontrato il chairman Yu Ming - un gruppo di lavoro proprio per capire come finanziare e gestire progetti sull’Italia. Il ministro ha detto che, invece, non si è parlato nell’incontro con la banca cinese prima al mondo per capitalizzazione
di borsa del progetto Rosco che prevede la riconversione di tutto il parco bus italiano con autobus ibridi e il rinnovamento della flotta treni di FS, 500 treni. Un’ipotesi possibile vedrebbe l’utilizzo della formula del leasing, a condizione che i fornitori siano cinesi, ad esempio Byd per gli autobus e Crrc per i treni, tanto per fare qualche nome. Ma Delrio ha escluso la questione.
È invece probabile che si profili un discorso in termini di collaborazione anche con Cassa depositi e prestiti, in un’ottica di reciprocità. Icbc infatti punta ad ampliare il suo portafoglio di attività internazionali e ha mostrato uno specifico interesse per l’Italia. «Italia e Cina vogliono individuare progetti concreti, coniugare gli aspetti finanziari con quelli di esecuzione, rimuovere i potenziali ostacoli e difficoltà che ancora frenano in Italia l’afflusso di capitali dalla Cina», ha puntualizzato il ministro. Si studia la possibilità dunque «di sviluppare progetti congiunti in questo settore con enti e imprese cinesi, che hanno un forte interesse ad aumentare la loro proiezione al di fuori della Cina e che nel nostro Paese possono trovare interessanti opportunità sia dal punto di vista commerciale e finanziario sia da quello della condivisione del know how e delle capacità gestionali».
C’è poi il tema dell’Amministrazione cinese per l’Aviazione Civile dell’ulteriore sviluppo delle relazioni aeronautiche tra Italia e Cina. Bisogna aprire altre rotte, lo chiedono scali cinesi, Shenyang e Lanzhou, e italiani come Bari, ad esempio. Le controparti vogliono entrambe l’ampliamento dei collegamenti diretti tra i due Paesi, a condizioni di reciprocità, anche per favorire i flussi turistici in crescita, con l’aumento delle frequenze, la diversificazione degli aeroporti di destinazione dei voli in entrambe le direzioni, l’apertura del mercato a nuovi operatori. Devono migliorare anche le condizioni operative sull’aeroporto di Pechino, la richiesta di Alitalia di ottenere migliori condizioni per l’industria aeronautica italiana per procedure più rapide e semplici di rilascio delle certificazioni sugli aerei sono in cima alla lista delle richieste.

venerdì 24 febbraio 2017

TRIESTE COME ROTTERDAM: STUDIO DELL' ISAG CHE INDICA IL NOSTRO PORTO COME TERMINAL DELLA "NUOVA VIA DELLA SETA" E SOSTIENE L' UNIFICAZIONE CON CAPODISTRIA -




Nell' ottobre 2016 l' ISAG ( Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie) ha redatto uno studio sulle opportunità della "Nuova Via della Seta"di Pechino che è stata oggetto del nostro convegno del 30 gennaio (clicca QUI)

Lo studio ha indicato, con ampie motivazioni, il Porto di Trieste come il Terminal migliore della One Belt One Road (OBOR) ed ha anche indicato l' opportunita di una unificazione reale con il Porto di Capodistria.
Lo offriamo ai nostri lettori sottolineandone alcuni capoversi:



---"Nella terza sezione si tratta del ruolo dell’Italia all’interno di OBOR. Si ritiene che la posizione strategica dell’Italia, e in particolare di Trieste nel contesto della OBOR,...."

--- "Il porto di Trieste, situato in una delle aree più prospere del Paese ed essendo più vicino a Stati o regioni europee senza sbocchi sul mare Mediterraneo, avrebbe le potenzialità per divenire un porto gateway europeo – una Rotterdam del Sud – e quindi sarebbe naturale punto di origine e destinazione nell’ambito della OBOR. Inoltre, una Trieste punto di riferimento europeo per laVia della Seta Marittima (SMR), avrebbe l’effetto di rendere necessario il rafforzamento dei collegamenti ferroviari con le linee dirette in Asia in un’ottica di chiusura della Belt."

--- "L’Italia dovrebbe quindi elaborare una strategia incentrata su Trieste punto di origine/destinazione della Via della Seta Marittima, che ne farebbe di conseguenza l’anello di congiunzione con quella terrestre e quindi porto chiave della OBOR."

--- ".... Il modello a cui fare riferimento, con i dovuti accorgimenti, è quello di Rotterdam...

--- "Per l’accrescimento degli spazi, si potrebbe anche valutare la possibilità di integrare il porto di Trieste e quello di Capodistria (Koper, Slovenia) che essendo vicini (circa 25 km) potrebbero sfruttare economia di scala. "..."Il progetto non dovrebbe andare nella direzione di una partnership, ma, per esempio, in una incorporazione per fusione delle due Autorità portuali in modo da creare un vero soggetto unico".



(la parte su Trieste inizia a pag. 44)
Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie 
- October 2016 - 
Author: Massimiliano Porto
Director of the «Asia-Pacific» Programme, IsAG, Rome



Il collegamento ferroviario tra il Pireo e Budapest che si è saputo oggi essere oggetto di attenzione e rallentamento da parte della UE e di Berlino (clicca sull' immagine per andare al sito ISAG)

giovedì 23 febbraio 2017

IL "GRANDE GIOCO" RINASCE NEL MEDITERRANEO - UN ARTICOLO DI LIMES IN ESCLUSIVA PER I NOSTRI LETTORI


Il caos euro-africano-mediorientale, gli interessi commerciali della Cina e le mosse strategiche della Russia materializzano nel Mare Nostrum una competizione fra imperi simile al Great Game ottocentesco fra Mosca e Londra.
di Mario Rino Me
Doppiato il XX secolo, definito dal filosofo Isaiah Berlin “il più terribile della storia dell’Occidente”, nel corso del XXI assistiamo a un momento storico di transizione per la ridefinizione dei ruoli e delle gerarchie del potere nei nuovi equilibri geopolitici.

Gli scenari del nuovo millennio confermano uno degli assunti del Novecento, secondo cui la sfida a una grande potenza non può che venire da un’altra aspirante allo stesso rango. Peraltro, alle tensioni indotte nelle dinamiche internazionali da crisi e conflitti, si aggiungono sfide di natura socio-ambientale.

Tra i primi tre grandi del pianeta per potere militare (Stati Uniti da una parte, Cina e Russia dall’altra) si è palesata una diversa visione del  mondo. Gli ultimi due sostengono una sorta di diritto di avvalersi nel relativo estero vicino di proprie sfere di influenza, ritenute invece superate dalle controparti occidentali. Questa diversità di vedute sottende dispute territoriali e, di conseguenza, situazioni di attrito molto difficili da superare con l’attuale dialettica dai toni da guerra fredda.

Queste forme di imposizione di sistemi politici o di controllo furono sdoganate a Yalta, dove nacquero, per poi consolidarsi nel tempo come consuetudine, gli equilibri del secondo dopoguerra. Per contro, con l’eccezione degli accordi di Dayton del 1995 sulla ex Jugoslavia, gli assetti geopolitici emersi dalla fine della guerra fredda non sono stati oggetto di trattati internazionali.

Nel primo caso si è vissuta una condizione di equilibrio strategico che Raymond Aron definiva “pace impossibile [ma] guerra improbabile”. Nel secondo, lo stato del mondo è caratterizzato da una crisi della capacità di gestione globale.

Su scala planetaria, la risoluzione delle dispute, sia pacifica che coercitiva, appare un miraggio di fronte alla polarizzazione e frammentazione degli attori. Anche perché l’impianto delle Nazioni Unite, come la sua antenata Società delle Nazioni, si regge sulla totale fiducia riposta sulla forza morale dell’autorità centrale onusiana. Purtroppo, non dotandola di un potere coercitivo articolato su una propria forza militare, si è finito col ripetere lo stesso errore del passato: il Consiglio di sicurezza e il segretario generale, condizionati dalla volontà degli Stati, sono bloccati in “una paralisi globale”.

Alle difficoltà socio-politiche-economiche di un’Unione Europea che perde pezzi (vedi il Brexit) fanno riscontro sponde meridionali e orientali tormentate da guerre civili. Libia, Iraq e Siria hanno riacceso i riflettori sull’arco storico delle crisi, che scuote una vasta area dall’Africa Occidentale all’Asia Centrale, comprensiva del sottostante hinterland dal Golfo di Guinea fino al Corno d’Africa.

In quest’area si è inserita una minaccia dichiarata, portata avanti dai militanti del fanatismo politico-religioso del sedicente Stato Islamico, con epicentro mediorientale ma con diramazioni mondiali, che il sistema internazionale stenta a debellare.

Viviamo dunque – e in base alle previsioni vivremo – anni strategicamente e storicamente intensi, che denotano la fine di un ciclo.

In seguito alle crisi economico-finanziarie di fine decennio scorso, si è determinato uno spostamento geopolitico verso l’Asia, dove ricompaiono gli eredi di quel mondo che il lungo dominio occidentale aveva messo in disparte dalla “grande storia”. La Persia dei Safavidi, l’India dei Moghul, la Cina dei Qing e l’impero ottomano erano potenze formidabili all’inizio del XVIII secolo, quando nasceva l’impero russo.


Nel frattempo aveva preso corpo una particolare fase di espansione delle potenze europee, sospinta dalle esigenze di accaparramento di risorse e mercati nonché da una sorta di missione civilizzatrice: il mondo del colonialismo, popolato anche da avventurieri, mercanti spesso organizzati in compagnie (come quella delle Indie) che riuscivano spesso a condizionare l’azione della madrepatria.

Oggi una serie di eventi dà l’impressione di un ritorno all’indietro delle lancette dell’orologio. Dopotutto, l’impresa di Cristoforo Colombo non era nata all’insegna del “buscar el levante por el poniente“? Dopo la conquista portoghese dello stretto di Malacca, nel 1512-15 il cronista lusitano Tomé Pires scriveva: “Il signore che possiede lo stretto di Malacca può prendere Venezia per la collottola”.

I fatti gli diedero ragione: nel Mediterraneo la Sublime Porta era subentrata sin dal 1453 all’impero bizantino e, in una sorta di continuità storica, Maometto II e i suoi successori avevano assunto anche il titolo di Kayser-i-Rûm (cesare dei romei). L’espansione della potenza ottomana verso la Siria, l’Egitto, fino allo Yemen consentì il controllo delle vie del traffico carovaniero e l’esercizio del monopolio sul proficuo commercio con le Indie e l’Estremo Oriente. Combinandosi con il riorientamento dei traffici dei paesi sull’Atlantico verso le distese oceaniche, ciò consentì l’accesso senza intermediari ai beni e alle terre agognate.

La conseguenza fu la marginalizzazione del Mediterraneo: mentre Genova reagiva diventando la più importante piazza finanziaria fino al sorpasso da parte di Amsterdam, per Venezia, passata l’euforia della vittoria a Lepanto del 1571, iniziò una lunga decadenza.

Oggi gli eredi delle predette nazioni asiatiche sono riemersi. E si inseriscono nei vuoti di potere lasciati dalla superpotenza statunitense, attualmente in una fase di riequilibrio all’insegna dello slogan America first. Mentre l’amministrazione Trump assume forme “isolazioniste” con i paesi del Vecchio continente, le correzioni di rotta su Cina, Giappone, Israele e Iran puntano verso la continuità della politica estera americana. Resta da vedere se e quanto tutto ciò durerà.

Anche l’Europa sta cambiando: oramai giunta a un punto di non ritorno e messa alla cappa da forti venti contrari, per sopravvivere discute se sia il caso di diventare un processo a geometria variabile. Il tema di grande dibattito è ora una possibile cooperazione strutturata permanente in materia di difesa: il sessantennale dei Trattati di Roma del marzo 1957 potrebbe dare l’avvio alla realizzazione di qualcosa di simile alla agognate Forze armate europee.

In Medio Oriente, l’opera di frantumazione da parte dello Stato Islamico dell’ingessatura frontaliera e le politiche neo-ottomane del presidente turco Erdoğan sembravano averci riportato all’epoca in cui quello spazio aveva confini molto più labili ed era dominato dalla Sublime Porta.

Poi l’irruzione della Russia in Siria, e, richiesta come mediatrice, in Libia
 ha impresso una svolta alla soluzione dei due conflitti. In questo nuovo quadro geopolitico, una troika inedita, composta da Iran, Russia e Turchia, convocando le parti della guerra civile in Siria ad Astana, ha inteso presentarsi come foro ristretto in sostegno all’azione delle Nazioni Unite.

Per la prima volta dal secondo dopoguerra, l’Occidente è escluso dalla cabina di regia. Come scriveva un nostro politologo un secolo fa, “tutto è fluido ed evanescente come il miraggio del deserto, la realtà di oggi, la menzogna di domani […] i confini si spostano in un incessante ondeggiamento di tribù e capi in perpetua lotta di tendenze religiose e ambizioni territoriali”.

Tutto ciò si combina con il revival cinese delle Vie della seta per restituire centralità e pertinenza al Mediterraneo, cosa che gli europei del Nord stentano a riconoscere. La gravità delle tensioni e delle guerre civili richiedono invece attenzione strategica, a partire dal fenomeno strutturale delle migrazioni. Laddove la strategia, oltre a coniugare i fini con le risorse a disposizione, è anche definizione di priorità e di orizzonte temporale per realizzarle. Per separare l’importante dall’accessorio, le funzioni vitali dai rami secchi. E individuare le opportunità da cogliere.

Nel grande spazio transmediterraneo si configura dunque una potenziale riedizione in chiave moderna di quel Grande gioco in cui, nella prima metà dell’Ottocento, la Russia zarista e la Gran Bretagna si disputarono i territori asiatici al confine dei rispettivi imperi.

Oggi la contesa verte sulla capacità di influenzare, con finalità non sempre disinteressate. Ma proprio nel “condominio” del Mare Nostrum i paesi rivieraschi dovranno ritrovare una convivenza, basata su un nuovo modo di relazionarsi e una condivisione dello spazio transmediterraneo.

Proprio con la rinascita della Via della Seta, il nostro Mediterraneo potrebbe aggiungere alla raffigurazione braudeliana di “mille choses à la fois” anche quella di snodo logistico, a due corsie, per le numerose imprese che ne potranno cogliere le opportunità.

Se nel 1976 si stabilì a Helsinki che la sicurezza del continente europeo non poteva essere disgiunta da quella del Mediterraneo, oggi proprio in questo “antico crocevia” si gioca il futuro dell’Ue e dei suoi membri.




TRIESTE E GENOVA CANDIDATE A TERMINAL DELLA "NUOVA VIA DELLA SETA" DURANTE LA VISITA IN CINA DI MATTARELLA - BISOGNA LEGGERE IL QUOTIDIANO DI GENOVA PERCHE' SUL PICCOLO OGGI NON C' E' NULLA SULL' INCONTRO DI IERI CON IL PRESIDENTE XI...- ULTIMA ORA: UNIFICAZIONE PORTI TRIESTE E CAPODISTRIA?


Tutta la stampa nazionale parla dell' incontro di ieri del presidente Mattarella con il presidente Xi che aveva al centro i temi della "Nuova Via della Seta" che abbiamo presentato nel nostro convegno del 30 gennaio.
L' informazione delle città portuali è attenta alle implicazioni locali, infatti il Secolo XIX di Genova ne parla in un importante articolo (clicca QUI) che riproduciamo sotto.


Si nota purtroppo l' assenza dell' informazione triestina con il Piccolo che non dedica oggi nemmeno una parola allo storico incontro di ieri, che come abbiamo già segnalato QUI è stato preparato da una visita del Presidente D'Agostino insieme a Signorini Presidente dell' Autorità Portuale di Genova.
C' è solo un breve inciso nell' articolo che tratta della costruzione in Cina di una parte delle navi Fincantieri.
Purtroppo bisogna leggere giornali di Genova, Milano, Roma e perfino Gorizia per conoscere cose di importanza strategica per Trieste.


Dibattere di questi temi è importante perchè in democrazia solo cittadini informati possono decidere e deliberare.

Ultima ora: importante articolo del Meditelegraph parla di unificazione dei porti di Trieste e Capodistria per farne il terminale adriatico (clicca QUI).Ecco la parte che ci riguarda (ne riparleremo perchè Il mondo sta correndo veloce e non si può dormire):

"Il capitolo triestino è ancora più ambizioso, perché risponde alle aspirazioni europee di unificare i porti di Trieste e Capodistria, che nonostante una forte concorrenza hanno movimentato complessivamente poco più del totale della sola Spezia, ma che insieme, condividendo le infrastrutture alle loro spalle dedicate alla logistica, possono davvero diventare il porto della Germania sul Mediterraneo. Secondo gli studi, Trieste-Koper - unificata da una ferrovia di 6 chilometri - andrebbe gestita da un’agenzia europea indipendente, avendo in Divaccia il suo snodo logistico. La località del Carso sarebbe collegata con una nuova ferrovia a Monfalcone e alla stessa Capodistria, secondo un progetto da anni accarezzato dagli sloveni. Valore totale 3 miliardi, che potrebbero sollecitare l’interesse cinese. L’intesa Italia-Slovenia è da tempo sollecitata dalla commissario europeo ai Trasporti, la slovena Violeta Bulc. Progetti coraggiosi, come richiesto in Cina. Se davvero emergeranno dalla carta, si saprà in pochi giorni.

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Ecco l' articolo del Secolo XIX

MISSIONE CON MATTARELLA 23 febbraio 2017

L’Italia in Cina candida Genova e Trieste nuove porte d’Oriente

simone gallotti, alberto quarati
Genova - Non succedeva da 10 anni che un ministro dei Trasporti italiano andasse in Cina: oggi e domani, nel quadro della visita del presidente Mattarella, Graziano Delrio incontrerà a Pechino l’omologo cinese, insieme al vicepresidente della Commissione nazionale per lo sviluppo (Ndrc), i responsabili dell’aviazione civile e l’amministratore delegato della maggiore banca in Cina, la Icbc. Obiettivo - spiegano al ministero - è affermare il sistema italiano come partner concreto nell’ambito dell’iniziativa One Belt One Road (Obor, il megapiano di investimenti esteri avviato da Pechino nel 2014 ), provando a individuare gli interessi cinesi a investire nel sistema portuale e logistico italiano lungo quella che è stata definita “la Via della Seta del 21esimo secolo”: uno snodo di corridoi logistici, porti e aree industriali che parte dalla Cina e attraversa tutto il continente euro-asiatico.
Una posizione che era già emersa all’inizio di settembre nell’incontro bilaterale tra l’ex premier Matteo Renzi e il presidente cinese Xi Jin Ping, e ancora a margine dell’ultimo G20. Delrio, per conto del governo Gentiloni, illustrerà la strategia per le infrastrutture e il Piano nazionale per la portualità, che ha riportato il ministero a un ruolo di coordinamento degli investimenti strategici. Proprio per questo saranno portate all’attenzione dei cinesi possibili collaborazioni nei collegamenti aerei e nel settore infrastrutturale.
In particolare, secondo quanto risulta al Secolo XIX, la delegazione (con Delrio ci sarà il numero uno della Cassa depositi e prestiti Fabio Gallia, i vertici delle Ferrovie e i rettori dei Politecnici di Torino e Milano) starebbe valutando se proporre allo staff del ministro Li Shenglin i sistemi portuali di Genova e Trieste come strumenti strategici di alimentazione dell’Europa dei traffici provenienti dalla Cina.
Su questi due porti infatti pendono una serie di progetti di massima, elaborati appunto con i politecnici torinese e meneghino, con la società di consulenza PriceWaterCooper e la stessa Cdp, che riguardano il corridoio Reno-Alpi e Baltico-Adriatico. Ora, su Genova-Savona (primo porto d’Italia, sbocco dell’area più industrializzata d’Europa) l’idea sarebbe coinvolgere gli istituti finanziari cinesi che già lavorano nella One Belt One Road (a partire dalla Icbc) su un’opera passiva come la nuova diga foranea ma anche su un progetto di terminal unico nel bacino di Sampierdarena, creando una società che oltre l’orizzonte del 2021-22, anno di apertura del Terzo valico, unisca gli attuali terminalisti con le Ferrovie dello Stato, quelle svizzere (Sbb) e la Cdp.

lunedì 20 febbraio 2017

ESCLUSIVO - STUDIO SULL' IMPATTO ECONOMICO ATTUALE DEL PORTO DI TRIESTE: FINO A 19.684 POSTI DI LAVORO CON L' INDOTTO - 615 MILIONI DI GETTITO FISCALE - E' IL VERO MOTORE ECONOMICO DI TRIESTE E CON L' UTILIZZO PRODUTTIVO DEI PUNTI FRANCHI NE PUO' DETERMINARE LO SVILUPPO - L' EVOLUZIONE DELLA SITUAZIONE GEOPOLITICA LO FAVORISCE -


Clicca sull' immagine per scaricare

Sull' onda del grande interesse che si sta sviluppando intorno al Porto ed alle sue prospettive, e che si è manifestato anche con la folta partecipazione al nostro incontro sulle opportunità create dalla "Nuova Via della Seta", presentiamo ai nostri lettori in esclusiva un autorevole studio del 2010 sull' impatto economico, occupazionale e fiscale del Porto di Trieste, redatto della società Adria Sea su commissione di Confindustria, AIOM ed altri enti.

I dati analizzati sono del 2008 e sono da considerarsi tuttora validi perchè malgrado la crisi non vi sono stati cali, semmai incrementi di traffico.
Inoltre non sono conteggiati i posti di lavoro e i redditi relativi alla Pubblica Amministrazione che gravita intorno al Porto, Dogane, Finanza, Autorità Portuale, Capitaneria ecc. perchè sono considerati un costo per la comunità.
Non è conteggiato nemmeno il settore navalmeccanico e cantieristico per quanto contiguo e, in qualche misura, indotto dall' attività portuale.


Il Porto di Trieste si conferma essere il reale motore economico del territorio ed il principale creatore di valore aggiunto: basta indicare due soli dati:

1) I posti di lavoro, compreso l' indotto ed esclusa la Pubblica Amministrazione, sono stimati oscillare in una forbice tra 15.658 e 19.684 unità.

2) Il gettito fiscale complessivo generato da Porto e Indotto era di ben 615 milioni nel 2010.

In questo quadro assume  un valore strategico la prospettiva, che chiaramente è emersa dall' intervento del Presidente D'Agostino nel nostro recente convegno, di utilizzo produttivo del regime di Porto Franco non solo per i traffici portuali ma anche, e soprattutto, per favorire nuovi insediamenti industriali e produttivi in genere.

E' cruciale riuscire ad utilizzare la nuova situazione geopolitica in evoluzione anche per contrastare la pesantissima deindustrializzazione avvenuta a Trieste (attualmente solo il 9% del PIL) e favorire il rilancio dell' economia.

L' impressione che si trae dalla lettura di questo studio è che il dibattito pubblico di questi ultimi anni abbia sottovalutato l' importanza decisiva del Porto Franco Internazionale per il futuro non solo della città di Trieste ma dell' intero territorio e che si sia concentrato su altri temi forse non prioritari.
E che sia opportuno focalizzare le forze laddove possono produrre migliori risultati di sviluppo reale della nostra comunità.



#NuovaViaDellaSeta - IL MONDO (RI)VISTO DALLA CINA - Nuove mappe della dottrina geopolitica cinese



Il mondo (ri)visto dalla Cina

In una mappa la visione geopolitica dell’Impero di mezzo Pechino al centro. New York? Sulla costa ovest degli Usa 

di Guido Santevecchi, corrispondente a Pechino del Corriere della Sera

PECHINO Qual è la direzione da seguire per andare dalla Cina all’America? L’Est, naturalmente. E invece no, bisogna dirigersi a Nord, attraverso l’Oceano Artico. È solo una questione di prospettiva, di mappe e in ultima analisi di geopolitica. La nuova geopolitica vista da Pechino.

L’idea è venuta al professore Hao Xiaoguang dell’Accademia delle scienze cinese, dove è titolare di Geofisica e geodesia, che significa «studio della forma semplificata della Terra». Una semplificazione sinocentrica nella fattispecie, che storicamente riconduce al termine «Zhongguo», Impero di mezzo, il nome in mandarino della Cina. Hao Xiaoguang ha cominciato a lavorarci nel 2000 e all’inizio anche l’establishment scientifico cinese lo ha preso per eccentrico: in una delle sue mappe New York vista dalla Cina compare sulla costa occidentale degli Stati Uniti. Però il professore spiegava che, passando dall’Artico dove i ghiacci si stanno riducendo, New York dista da Pechino 11 mila km invece dei 19 mila via Pacifico. Sosteneva che la cartografia tradizionale era frutto della supremazia occidentale e che bisognava rimettere le cose (il mondo) a posto. I suoi studi hanno prodotto quattro mappe che utilizzano come perno l’Oceano Artico per l’emisfero settentrionale e l’Oceano Antartico per quello meridionale. Nel 2010 lo Stockholm International Peace Research Institute ha inserito quella sul Polo Nord in un suo rapporto e da allora il professor Hao è diventato una celebrità a Pechino. Anche l’Esercito di liberazione popolare ha adottato il suo sistema per i piani di difesa nazionale: è stato calibrato sul nuovo modello Beidou, il rivale cinese del Gps, il Global positioning system. I generali hanno notato che anche la rotta di un missile intercontinentale cinese, solcando l’Artico, risparmierebbe 8 mila km.
«È una rivoluzione copernicana» made in China, dice Hao. E per il governo di Pechino le sue mappe rappresentano bene il risveglio geopolitico dell’Impero di mezzo e l’ambizione espressa dal presidente Xi Jinping di prendere la guida della ri-globalizzazione dell’economia mondiale. I cinesi puntano ad aprire una nuova Via della Seta stradale e marittima: un progetto lastricato di centinaia di miliardi di dollari di investimenti in Asia, in Africa, anche in Europa, con uno dei terminali marittimi che potrebbe essere in Adriatico. Gli avamposti sono già stati costituiti: il porto di Gwadar in Pakistan, concesso dal governo di Islamabad a quello di Pechino; una base a Gibuti, anche con installazioni militari a disposizione dei cinesi; il Pireo greco. La visione cinese è sicuramente innovativa e ha dalla sua i grandi numeri: «Zhongguo» è la seconda economia del mondo, regina delle esportazioni con 500 miliardi di dollari di surplus commerciale all’anno. Peccato che nelle mappe anche le isole Paracel e Spratly siano considerate cinesi, nonostante l’opposizione di una serie di Paesi molto più vicini e la bocciatura da parte del Tribunale internazionale per la legge del mare.






lunedì 13 febbraio 2017

VA IN CINA IL PRESIDENTE DELL' AUTORITA' PORTUALE DI TRIESTE D' AGOSTINO - LA CINA E' VICINA...E TRIESTE E' LA PORTA PER L' EUROPA -

   D' AGOSTINO NELLA PRECEDENTE VISITA A SHANGHAI

Va in Cina il Presidente D' Agostino, insieme al presidente dell' Autorità portuale di Genova Signorini  per definire le linee guida della collaborazione per la Nuova Via della Seta.

A fine mese ci sarà infatti una visita istituzionale del presidente della repubblica italiana e del ministro dei trasporti Delrio.
Ieri La Repubblica ha dedicato un paginone ai rapporti con la Cina come rileva Faq- Trieste (clicca QUI).

Oggi il Corriere segnala anche che è imminente l' accordo tra la Chiesa Cattolica e le Autorità di Pechino (clicca QUI).

La Cina è vicina...e Trieste può essere la porta per l' Europa.

domenica 12 febbraio 2017

DIALOGO PUTIN - TRUMP: RISCHI ED OPPORTUNITA' PER L' ITALIA - E PER TRIESTE ? PERCHE' NON CANDIDARCI PER LO STORICO INCONTRO, O ALMENO PER UNA VISITA, CONSIDERATA LA VENUTA DI PUTIN DEL 2013 E LA VICINANZA CON LA SLOVENIA ?


Proponiamo, per gentile concessione, un articolo di Limes-online (clicca QUI) visto che grande interesse ha destato in città l' annuncio che forse si farà in Slovenia lo storico primo incontro tra Trump e Putin ed anche l' annuncio dell' interessamento russo per le ferrovie del Porto di Capodistria.
Il dialogo Russia - USA può avere grandi ricadute su Trieste.

Sarebbe troppo chiedere alle Autorità di almeno invitare i due Presidenti ad incontrarsi a Trieste (o almeno visitarla nell' occasione, vista la vicinanza) in considerazione dell' internazionalità e delle vicissitudini di questa città, che già ha ospitato Putin nel 2013?

Cosa ne pensano i nostri lettori?

Motivatamente Trieste ambisce al ruolo di ponte tra USA e Russia e di cerniera tra Oriente ed Occidente.


Ecco il testo dell' articolo di Limes on-line che ci permette di comprendere meglio la complessa partita geopolitica internazionale:

L'italia è l’unico paese all’interno dell’Ue a poter svolgere un ruolo di ponte – non solo nel Mediterraneo – fra Russia e Usa. Ma la sua libertà d’azione sarà limitata dall’asse Berlino-Bruxelles e dalle manovre Nato.

Cosa rischia e cosa può guadagnare l’Italia dal dialogo fra Vladimir Putin e Donald Trump?

Per cercare di rispondere a questa domanda, partiamo dall’analisi dei principali avvenimenti geoenergetici che rafforzano l’ipotesi (formulata dall’economista Giuseppe Masala) di pax petrolifera, idealmente compendiata dalla nomina di Rex Tillerson, già amministratore delegato di ExxonMobile, a segretario di Stato.

In primo luogo, l’accordo sui tetti produttivi di petrolio raggiunto dall’Opec – in cooperazione con i produttori non-Opec, a partire dalla Russia – lo scorso 30 novembre a Vienna rappresenta una conseguenza dell’evoluzione della guerra in Siria e della ripresa di Aleppo da parte dell’esercito siriano fedele ad Assad, militarmente sostenuto dalla Federazione Russa, dall’Iran e dagli Hezbollah libanesi.

In secondo luogo, la compagnia petrolifera russa Rosneft – controllata dallo Stato russo per il 50% – ha ceduto il 19,5% del proprio capitale azionario a un consorzio formato dalla svizzera Glencore e dal Fondo di investimento del Qatar (Qif), per un valore equivalente a 10,5 miliardi di euro. L’operazione prevede la garanzia di un pool di banche (anche russe), capitanate dall’italiana Intesa Sanpaolo.

In terzo luogo, Rosneft ha raggiunto un accordo con Eni per l’acquisizione del 30% del capitale di Shorouk, il giacimento gasifero facente parte di Zohr, colosso nell’offshore egiziano da 850 Gmc3 di gas naturale scoperto dalla major italiana nel 2015. Il costo totale dell’operazione è di 1,57 miliardi di dollari; le parti hanno anche concordato un’opzione per l’acquisto da parte della stessa Rosneft di un ulteriore 5% di partecipazione nel contratto di concessione.

Dopo le vittorie militari in Siria, la Federazione Russa sta operando sul piano politico attraverso petrolio e gas. D’altronde, tutte le superpotenze hanno sempre fatto dell’industria energetica nazionale uno dei pilastri della propria politica estera. Gli Stati Uniti hanno agito allo stesso modo nei confronti della Cina, impedendo che l’impresa di Stato Cnooc acquisisse la statunitense Unocal; stesso discorso per le pressioni esercitate sull’Italia relativamente al caso Knight Vinke, che solo in minima parte hanno leso gli interessi di Eni.

L’entrata del Qif nel capitale di Rosneft è stata possibile perché il Qatar, fallito il tentativo di rovesciare il regime di Assad, ha interrotto il sostegno politico e finanziario ai cosiddetti gruppi ribelli. Doha, da nemico sul campo di battaglia siriano, è così diventata partner economico di Mosca, determinando una convergenza delle politiche energetiche dei due principali esportatori di gas naturale al mondo.

Grazie all’operazione con Eni, Rosneft ha ottenuto la possibilità di entrare nel mercato dell’“oro blu” senza ledere gli interessi del colosso energetico suo connazionale, Gazprom. Nel contempo, ha messo “un piede nel Mediterraneo”.

Putin, incassati questi eccellenti risultati, dovrà però prestare particolare attenzione nel continuare a non confondere tattica e strategia. L’impressione è che al Cremlino si respiri un’eccessiva euforia per l’elezione di Trump e la nomina di Tillerson.

Con Trump-Tillerson la nuova guerra fredda con gli Stati Uniti potrebbe certamente cambiare natura. Rispetto all’amministrazione Obama, l’approccio nei confronti di Mosca appare senza dubbio differente e volto alla ricerca di una soluzione reciprocamente vantaggiosa. Ma l’esito è tutt’altro che scontato: non si può escludere che nel prossimo futuro lo scontro diventi ancora più duro in virtù della grave crisi economica che persiste in Russia.

In tale contesto, sono certamente apprezzabili le parole del primo ministro italiano. Paolo Gentiloni ha spiegato che “con la presidenza del G-7 cercheremo di mettere sul binario giusto i rapporti con la Russia, fermi nei nostri princìpi, leali con i nostri alleati e non disponibili al rilancio di logiche da guerra fredda”.

L’Italia è al momento l’unico paese all’interno dell’Ue che ha la concreta possibilità di svolgere un ruolo di ponte, non solo nel Mediterraneo, senza più incorrere nel rischio di essere descritta da Washington come l’anello debole nelle mani di Mosca, esattamente come ai tempi del progetto South Stream.

Tale ruolo non può essere incarnato né dal Regno Unito – vista la scelta di uscire dal mercato unico europeo (hard Brexit) – né dalla Germania o dalla Francia, i cui rispettivi interessi economici e di politica estera confliggono con il nuovo inquilino della Casa Bianca.

Almeno due sono i rischi che l’Italia potrebbe trovarsi dinnanzi.

Il primo consiste nel fatto che l’asse Berlino/Bruxelles, proprio perché conscio del nuovo contesto geopolitico venutosi a determinare, utilizzerà a maggior ragione l’attuale impalcatura comunitaria come strumento di pressione per continuare ad indebolire il nostro sistema manifatturiero e bancario.

Di fatto, la Germania teme che il tentativo di mediazione di Henry Kissinger tra Usa e Russia sui dossier ucraino, baltico, siriano e libico – quindi anche sulle sanzioni – la possa vedere scavalcata. Per questa ragione, come ha ben chiarito l’ex ministro degli Esteri tedesco, Joschka Fischer, Berlino deve tentare di “blindare” l’Europa nell’era Trump evitando che quest’ultimo tolga l’ombrello protettivo della Nato e favorendo l’incremento del contributo alla sicurezza collettiva di tutti gli Stati membri dell’Ue all’Alleanza atlantica.

Il secondo attiene l’operato della Nato in Europa. A inizio gennaio, pochi giorni dopo il discorso di saluto pronunciato da Barack Obama, abbiamo assistito al più grande dispiegamento di forze terrestri statunitensi nell’Europa orientale dalla fine della guerra fredda. Scelta strategica che non va di certo nella direzione di una de-escalation con Mosca e appare in contrasto anche con gli oggettivi interessi di Roma.

Secondo l’economista Guido Salerno Aletta, “l’America cambia strategia economica […] perché non può più mantenere il ruolo di locomotiva globale crescendo a debito verso l’estero. Nel corso della presidenza Obama, l’esposizione finanziaria netta è peggiorata esponenzialmente, passando dai -2,627 miliardi di dollari del 2009 ai -7,281 miliardi del 2015. […]. Il punto di partenza, non solo per l’America, è la ricostituzione della base produttiva manifatturiera, impoveritasi sin dai primi anni Settanta”.

Per gli Stati Uniti, il riequilibrio nelle relazioni commerciali internazionali non è più rinviabile. A partire da quello verso la Cina, il cui surplus nei confronti di Washington ha raggiunto i 335 miliardi di dollari nel solo 2015 e ben 3.234 miliardi di dollari dal 2003 al 2015.

Viste le parole del portavoce del ministro cinese del Commercio, Sun Jiwen, a Davos, Pechino appare disponibile, non costretta ad affrontare il problema. Ciò detto, Trump deve essere consapevole che difficilmente spunterà un buon compromesso se prima non giungerà a un accordo con Putin su alcuni dei principali dossier come Siria, Ucraina e sanzioni, abbandonando l’idea che ciò possa avvenire in cambio della fine del rapporto strategico tra Russia e Cina, come chiaramente affermato dal ministro degli Esteri Russo, Sergej Lavrov.

Il 16 gennaio, il direttore uscente della Cia John Brennan aveva però ammonito Donald Trump a non sottovalutare Mosca. “Non credo che possieda una comprensione completa delle capacità, delle intenzioni e delle azioni della Russia”, ha detto a Fox. “Penso che Trump debba capire che assolvere la Russia sia una strada che deve stare molto, molto attento a intraprendere”.

Minacce velate? Di certo, lo scontro all’interno dell’intelligence – che perdura ben oltre l’elezione presidenziale – e quello tra Casa Bianca e una parte dei servizi Usa è fra i più interessanti di questo inizio 2017.



PUTIN E LETTA A TRIESTE IL 25 NOVEMBRE 2013



Trump e Kissinger sono amici anche nella vita sociale e il vecchio segretario di stato si è offerto come mediatore con la Russia.