Ci
si sbagliava ad attribuire l’allargamento della guerra in Medio Oriente al solo
bisogno di sopravvivenza del governo Netanyahu. In realtà dietro a questa
innegabile spinta contingente vi è un disegno strategico di più ampio respiro.
Che coinvolge, oltre all’intera area mediorientale, l’ Indo Pacifico e il Mediterraneo fino al
Nord Adriatico e Trieste. Da quest’ultima città portuale, posta perifericamente
“in alto a destra” nelle carte
geografiche italiane, paradossalmente si riesce a cogliere una visione
d’insieme dei tragici avvenimenti mediorientali che non appaiono privi di una
logica inquietante.
La prima spia che avrebbe dovuto catturare l’ attenzione dei commentatori è il nome dato da Israele alla sua operazione militare in Libano (con diramazioni in Siria e Yemen) che ha portato all’ uccisione di Nasrallah, capo di Hezbollah, e alla disarticolazione del suo gruppo dirigente: operazione “NEW ORDER – ORDINE NUOVO”. Un nome che si addice ad un intervento militare di portata strategica su ampia scala e non solo tattica in un conflitto locale.
La
seconda spia che si è accesa è rappresentata dalle mappe esibite dal premier
israeliano Netanyahu nel durissimo discorso del 27 settembre all’ ONU, definita
senza ritegno “una palude antisemita”.
La prima mappa, a sinistra della foto, mostra evidenziati in nero l’ Iran, l’ Iraq e la Siria che incombono sul Medio Oriente. Interessante che sia l’ Iraq, sia la Siria sono raffigurati come appartenenti all’ “Asse del Male”. Evidentemente l’ invasione dell’ Iraq da parte degli Stati Uniti e l’ intervento americano in Siria non hanno sortito i risultati sperati ma addirittura l' opposto.
La
seconda mappa, definita “la Benedizione” o “l’augurabile prospettiva”, reca una striscia rossa con due frecce all’ estremità che congiungono il Mediterraneo con l’
India e l’ Oceano Indiano attraversando Israele, la Giordania e l’ Arabia
Saudita evidenziate in verde speranza.
Chi sta a Trieste o chi ha letto i tre precedenti articoli sui progetti securitario-commerciali americani denominati IMEC “Via del Cotone” e Trimarium, riconoscerà immediatamente nella striscia rossa la “Via del Cotone” concepita dagli Stati Uniti come antagonista alla Nuova Via della Seta cinese e ora riapparsa nel contesto della guerra israeliana a Gaza e nel Libano del sud.
(il testo prosegue dopo l' immagine)
La
Via del Cotone IMEC sembra dunque
essere diventata il centro, quantomeno retorico, della strategia degli Stati
Uniti, e del luogotenente israeliano, nel Mediterraneo allargato fino all’
Oceano Indiano.
Questo
progetto, finora solo abbozzato, prevede che
le merci viaggino tra i porti di Mumbay (India), Dubay – Dammam (Arabia)
e Haifa (Israele) attraversando in ferrovia le lande desertiche dell’ Arabia
Saudita e della Giordania per poi essere imbarcate e raggiungere l’ Europa
centrale tramite Trieste. Da qui partirebbero per Danzica (Polonia) e Costanza
(Romania) tramite le infrastrutture del Trimarum
pagate con soldi degli europei ma utili quasi esclusivamente per la
logistica di armi e truppe della NATO sul fronte est.
Il
problema è che non ci sono le merci.
Ovvero
che i traffici tra India ed Europa non sono assolutamente al livello di
sostenere i costi di questo corridoio logistico perché lo sviluppo industriale
indiano non è nemmeno paragonabile a quello cinese. Né è prevedibile nel medio
periodo uno sviluppo indiano confrontabile con quello avvenuto in Cina: per
problemi intrinseci all’India stessa con una società in realtà tuttora divisa
in caste e in innumerevoli realtà nazionali e religiose che hanno già fatto
franare i tentativi precedenti di reale unificazione del “subcontinente” in
un’unica nazione in grado di realizzare dei progetti economici di largo respiro.
Attualmente tenta di farlo Modi sotto un’autoritaria egemonia Indù rischiando,
però, di destabilizzare una realtà complessa in fragile equilibrio, come è già successo in passato.
Ma della Via del Cotone non ci sono nemmeno le infrastrutture, tra cui una lunga ferrovia che dovrebbe congiungere Dubay e Haifa che distano in linea d’aria 2.500 chilometri: si stima che il percorso reale sia superiore ai 3.000 chilometri in un territorio in gran parte desertico.
Questo
percorso sboccherebbe sul mediterraneo al Nord di Gaza, a Haifa, porto israeliano
che è stato bersaglio nei giorni scorsi di missili lanciati dal sud del Libano. Ma tutto il percorso
sarebbe soggetto ad attacchi provenienti da Libano, Siria, Gaza, Cisgiordania e
perfino Yemen.
Può
Israele, insieme all’alleato americano, "pacificare" l’ area? I dubbi sono legittimi constatando che il porto
israeliano di Eilat sul Mar Rosso ha dichiarato fallimento nel luglio scorso
perché il traffico marittimo è bloccato da quasi un anno dagli Houthi yemeniti
nonostante l’intervento delle marine
anglosassoni ed europee. Una sola nave era arrivata a Eilat dal novembre 2023…
Quella
di creare il terreno per l’ IMEC- Via del
Cotone è una componente importante della strategia complessiva di Netanyahu,
al punto di diventare il nocciolo retorico del suo discorso all’ ONU.
La
strategia del Governo Israeliano punta esplicitamente a risolvere il problema
con una “Vittoria Finale” che elimini il problema stesso: cioè i palestinesi di
Gaza e Cisgiordania e gli abitanti del Sud del Libano la cui società è
strettamente legata alla presenza di Hezbollah che
svolge un ruolo di supplenza all’evanescenza dello stato libanese.
Tuttavia
appare improbabile una “soluzione finale” per via militare della complessa
situazione mediorientale: gran parte
degli analisti militari (anche israeliani) ritengono impossibile l’
eliminazione di Hezbollah e Hamas che sono
strettamente compenetrate con la società delle aree in cui operano non solo
come milizie ma anche, e soprattutto, come fornitrici dell’unico welfare
disponibile per quelle disgraziate popolazioni (sussidi, lavoro, scuola ecc.). A
meno che non s’intraprenda una strada genocida e di deportazione di massa la
cui ipotesi sembra allettare settori estremisti e messianici della società
israeliana.
La fallimentare invasione americana dell’ Iraq dovrebbe, però, sconsigliare di seguire la “via
militare”.
Può darsi, come dicono alcuni analisti, che questa
nuova fase della guerra in Medioriente, che ha visto la decapitazione di
Hezbollah, si evolva verso un indebolimento dell Iran, della sua credibilità e
deterrenza.
Ma se le cose andassero così, e non è detto vista la
resilienza dell’ organizzazione eterarchica di Hezbollah, si aprirebbe ulteriore spazio
all’iniziativa della concorrente Turchia.
Erdogan, oltre ad aver interrotto i rapporti
commerciali con Israele per proporsi come campione della causa palestinese, ha
elaborato insieme all’Iraq, il Quatar e gli Emirati un corridoio logistico antagonista
alla IMEC “Via del Cotone”.
La Turchia ha fatto sapere di non essere disposta a rinunziare al suo ruolo storico e strategico di collegamento tra l’ Europa e l’ Oriente medio e lontano, e si è mossa conseguentemente con un progetto infrastrutturale diverso, cui l’ India può ugualmente collegarsi proficuamente.
(il testo prosegue dopo l' immagine)
Si
tratta del progetto turco-iracheno della “Strategic Development
Road” di cui si è firmato l’ accordo a Bagdad il 27 maggio 2023 (4 mesi
prima del lancio della Via del Cotone al G20 di Delhi) che si
estende per 1.200 chilometri attraverso l’Iraq e che mira a collegare la
Turchia alle coste del Golfo Persico nel sud dell’Iraq entro il 2030. Una joint
venture recentemente creata tra la società emiratina Ad Ports Group e
la General Company for Ports of Iraq è stata incaricata dello
sviluppo del porto di Al-Faw nel sud dell’Iraq e della sua “zona
economica speciale” entro il 2025.
Il progetto prevede anche la realizzazione di una rete ferroviaria che colleghi il porto di Al-Faw con il porto di Mersin in Turchia, collegandosi così anche al Trans-Caspian International Transport Route (TITR), detto anche “Middle Corridor” delle Nuove Vie della Seta in cui il traffico commerciale è già notevole e in crescita.
Come si vede sono tutti corridoi logistici che passano nell’ area nera delle mappe di Netanyahu, cioè vie di commercio soggette all’ “Asse del Male”, come dice il premier israeliano che si considera invece il Bene, cioè negli artigli del Dragone secondo la narrazione americana: pertanto da ostacolare in ogni modo.
Invece,
come rileva il bollettino 7/24 dell’ AIOM di Trieste il volume del trasporto
merci lungo la Trans Caspian International Transport Route (TITR) nel
2023 è aumentato del 86% e nel 2024 è previsto un ulteriore aumento del 19%
(fermo restando il trend dei primi 6 mesi). Questa rotta dimezza i tempi di
percorrenza tra il confine occidentale della Cina e l’Europa, e in 15 giorni
potrà collegare l’Europa e l’Asia centrale.
L’
aumento del traffico su questo corridoio logistico è dovuto alle modificazioni
dovute prima alla Guerra in Ucraina, e alle sanzioni relative, e poi al blocco
del canale di Suez conseguenza della guerra a Gaza.
Punto
nevralgico di questa sorta di rivoluzione infrastrutturale, lungo l’asse
Europa-Asia, è il Kazakhstan, dal momento che lo stato asiatico estende la
propria rilevanza dal confine con la Cina fino al Mar Caspio. Ed è proprio con
il Kazakhstan che la Cina ha lanciato una nuova fase di relazioni che lega
Zhengzhou, Urumqi e Khorgos in Cina, al porto di Kuryk e Aktau in Kazakhstan,
dove i camion cinesi vengono imbarcati su navi dirette in Azerbaigian
dall’altra parte del Mar Caspio, con destinazione finale la Turchia.
E da qui i semirimorchi ro-ro possono imbarcarsi per raggiungere Trieste e l’ Europa
lungo l’ Autostrada del Mare ormai consolidata da decenni e in
crescita.
Comparando
i due progetti si vede chiaramente che quello turco prevede l’inserimento
nel territorio iracheno abitato (l’antica Mesopotamia) di treni ad alta
velocità, lo sviluppo di centri industriali ed energetici locali, compresi
oleodotti e gasdotti, e la costruzione di oltre 1.200 chilometri di ferrovie e
superstrade, che collegheranno l’Iraq con i paesi vicini. Mentre quello
americano-israeliano della IMEC prevede ferrovie lunghe il doppio in un
territorio desertico semidisabitato.
Mentre il primo, già realizzato per il 40%, vede Turchia e Iraq impegnati seriamente con riunioni mensili tra governi, il secondo è solo ipotetico e dipendente dalla pacificazione reale del Medio Oriente e dagli “Accordi di Abramo” fra Israele e Arabia Saudita, attualmente congelati per una guerra che si sta estendendo .
L’adesione
dell’Italia alla Via del Cotone nel settembre 2023 è stato uno
schiaffo alla Turchia che ne resterebbe tagliata fuori, ed infatti la reazione
turca al progetto è stata dura.
Che
senso ha per Trieste entrare in conflitto con la Turchia che invia al suo Porto
Franco Internazionale il 70% delle sue esportazioni e le cui merci già ora
rappresentano il 60% del lavoro del porto giuliano, e in prospettiva concreta cresceranno?
Si tratterebbe di un’ autolesionistica
adesione ideologica all’ “Asse del Bene” secondo Netanyahu: di cui il
Regno dell’ Arabia Saudita e il Regno di Giordania non sono certo la crema delle
democrazie liberali, ma solo degli stati graditi agli USA. Un nuovo elemento che smentisce la narrazione americana della lotta delle Democrazie contro le Autocrazie.
Paolo Deganutti