Questa è la versione estesa dell' articolo per Limes On Line di Paolo Deganutti (clicca QUI)
E’ di portata geopolitica l’ annuncio ufficiale dell’
acquisizione da parte del colosso amburghese HHLA (Hamburger Hafen
und Logistik AG) del
nuovo grande terminal del porto di Trieste. La HHLA è una
Compagnia tedesca di logistica e trasporto di
importanza strategica che gestisce 3 terminal su 4 del porto di Amburgo che è il principale della Germania. Fondata
nel 1885 è partecipata dalla città di Amburgo che gode del rango di Stato nella
Repubblica Federale di Germania.
Si tratta del più importante investimento privato mai avvenuto nel Porto
Franco Internazionale di Trieste: circa un miliardo complessivamente sarà speso in alcuni anni per la Piattaforma
Logistica su cui si innesterà il grande Molo 8° servito da un nuovo hub
ferroviario che prenderà il posto dell’ “area a caldo” della
Ferriera (l’ “ILVA triestina”) per il quale anche le Ferrovie
Austriache (ÖBB) hanno espresso il loro interesse (come per la Piattaforma Logistica e l’ Interporto di Fernetti).
Inoltre alcune settimane fa è stato confermato l’acquisto di una quota dell’
Interporto di Trieste, che controlla la nuova Zona Franca industriale “Freeste”,
da parte di Duisport società
del Porto di Duisburg: il più importante porto interno e hub intermodale
non solo della Germania ma del mondo intero, nonché terminal ferroviario
europeo della “Via della Seta-BRI” terrestre.. Si tratta, tra l’altro, di un partner che
ha già maturato in patria un’esperienza specifica nel risanamento di aree
industriali dismesse ed inquinate e nella loro trasformazione in hub logisitci.
Nei mesi scorsi è stato anche siglato un contratto di compravendita
tra il governo ungherese e i due soggetti privati Teseco e Seastock, primo passo per la realizzazione di un
terminal multipurpose, proprio in un’altra area dismessa e da
bonificare.
Obiettivo dell’Ungheria è disporre di una piattaforma per l’ import-export
capace di garantire l’uscita
marittima entro 24 ore. Il tutto rivalorizzando
l’ex sede dell’impianto petrolifero dell’Aquila con un investimento iniziale di
100 milioni €.
La HHLA acquisirà la maggioranza della società che ha la concessione – restando ovviamente pubblica
la proprietà – del futuro più grande terminal del Porto Franco Internazionale di
Trieste dotato di fondali naturali di 18 metri, in regime di Porto
Franco, collegato efficientemente alla rete ferroviaria e stradale europea. Gli
investimenti per la costruzione del Molo 8°, già approvato dal Piano Regolatore
del Porto, saranno principalmente a carico del colosso amburghese della
logistica.
Con l’ arrivo delle società dei porti di Amburgo e di
Duisburg che si aggiungono all’ oleodotto transalpino TAL con il terminal petrolifero SIOT- che forniscono il 100% del fabbisogno
petrolifero della Baviera e del Baden-Württemberg, il 90%
dell’Austria e oltre il 30% della Repubblica Ceca - si ricostruisce
l’ antico legame di Trieste con l’ entroterra mitteleuropeo.
Un legame che si era rivitalizzato dopo la caduta del Muro di
Berlino e che si era molto sviluppato negli ultimi anni soprattutto grazie alle
ferrovie per il trasporto merci, vecchia eccellenza dell’ Impero Asburgico.
L’ interesse del più grande porto tedesco per Trieste
ha anche delle motivazioni pratiche: Amburgo è un porto sul fiume Elba a
100 km dalla costa con problemi di fondali che le nuove gigantesche
portacontainer richiedono sempre più profondi mentre le ricorrenti siccità
dovute ai cambiamenti climatici aumentano le criticità delle vie d’ acqua
fluviali. Si creano dunque problemi sia di accessibilità nautica dei porti che
di navigabilità delle rete di canali interni, vera linfa dei porti del nord
Europa.
Anche le linee ferroviarie intorno ai porti del Nord, prima della crisi
pandemica del 2020, davano segnali di saturazione mentre, stante il progetto
germanico di taglio delle emissioni di CO2 del 55% rispetto al 1990,
è difficile pensare ad uno sviluppo del sistema autostradale federale.
Appare quindi logico da parte del porto tedesco investire
nel porto di Trieste che invece gode di fondali marini naturali
profondi 18 metri, di un’estesa rete ferroviaria con margini di sviluppo senza
enormi investimenti, rotte marittime più
brevi per l’ Oriente attraverso il raddoppiato Canale di Suez, coniugati al
regime di Porto Franco che rende conveniente non solo la manipolazione e lo
stoccaggio delle merci ma anche la loro trasformazione industriale allo stato
estero.
La trasformazione industriale in regime di Porto
Franco è il tema cruciale per l’ economia triestina, essendo necessaria per creare valore aggiunto sul territorio, cosa che il
mero transito di container non può fare anche per la sempre maggior automazione
del lavoro dei terminal.
I vantaggi delle zone franche portuali sono particolarmente attraenti sia per
l’ insediamento di nuove industrie e servizi sia per il “reshoring” cioè il
rientro di imprese precedentemente delocalizzate: processo accelerato dalla
crisi del Covid-19.
Il 24 luglio scorso il Consiglio Regionale ha
convocato per un’ audizione sul tema del Porto Franco il presidente
dell'Autorità di sistema portuale del mare Adriatico orientale, Zeno
D'Agostino e Stefano Visintin, presidente della CONFETRA FVG , che si è
conclusa con una mozione di richiesta a Roma di piena attuazione del regime
di Porto Franco appoggiata da tutte le forze politiche.
D’ Agostino, che era stato reinsediato da un mese con una massiccia
mobilitazione dei lavoratori portuali e della città dopo un
maldestro tentativo di destituzione, ha fatto delle dichiarazioni molto
nette:
“mentre noi siamo qui a perdere opportunità preziose e legittime, l'ufficio
legislativo del ministero per l'Economia e le Finanze (Mef) non riconosce
l'extraterritorialità doganale di Trieste, perché non riesce a interpretare il
fatto che un trattato internazionale deve essere rispettato"
.
"Il Porto franco - ha proseguito D'Agostino - potrebbe
essere il luogo dove le imprese tornano a fare attività e a essere aggressive.
Basta leggere i venti articoli dell'allegato ottavo del Trattato di pace di
Parigi del 1947 e le poche righe nel Memorandum di Londra del 1954 per
apprendere che il porto di Trieste gode di determinati benefici e che qui
devono essere applicati addirittura quelli migliori tra tutte le zone franche
del mondo".
"Lo Stato italiano, nell'ambito
della sua comunicazione a Bruxelles relativa ai territori extra
doganali, si è dimenticato di dire che esiste il porto franco di Trieste.
E anche di aggiungere che ha tutti i requisiti in regola per essere presente
nella lista.”
"l'Europa verificherà se ci sono
le basi giuridiche. L'ostacolo più insidioso non è tuttavia Bruxelles
ma Roma”. (clicca QUI)
Stefano Visintin è stato altrettanto
chiaro:
" vi è certezza che
la trasformazione industriale delle merci nel porto franco di Trieste è
fattibile, nonché prevista anche da un decreto del 1959. Perché
farlo? Intanto, smentisco la possibilità di pagare di meno i lavoratori, perché
vengono applicati i contratti di lavoro nazionali con forti controlli da parte
dell'Autorità di sistema. Inoltre, la Dogana rende impossibili falsificazioni o
contrabbando, proprio perché il porto franco è soggetto a maggiori controlli ai
varchi. I vantaggi della lavorazione di merci allo stato estero derivano dalla
possibilità di acquisire l’origine europea anche se nessuna materia prima è
stata mai introdotta in Unione Europea: ciò deriva dal fatto che il porto
franco di Trieste è territorio politico dell’Unione Europea, ma non fa parte
del suo territorio doganale.
L'utilità è dunque legata al fatto che le
merci rimangano allo stato estero e chi le detiene non deve anticipare dazi e
IVA prima che vengano immesse in lavorazione e ai differenziali dei dazi
applicati sul prodotto finito e sulle materie prime nei Paesi di destinazione”.
Concetti senz’altro complessi, molto più sofisticati della mera riduzione delle
imposte, che all’interno dell’Unione Europea può essere consentita solo per un
periodo limitato ed in aree particolarmente depresse. L’extradoganalità del
punto franco triestino rappresenta un unicum in territorio
italiano ed europeo ma i numerosi governi italiani “non hanno mai
comunicato correttamente all’Unione Europea il suo status”, escludendo
de facto la possibilità di uno sviluppo industriale del porto franco triestino.
Con la svolta rappresentata dall’
arrivo degli amburghesi di HHLA c’è da domandarsi se la pluridecennale
resistenza romana alla piena applicazione del regime di Porto Franco continuerà a fronte di prevedibili richieste tedesche e centroeuropee di
applicazione dei trattati internazionali a favore delle loro imprese insediate
nel porto triestino.
Già in passato vi era stata la richiesta
dei Governi di Austria e Germania di rispettare il Trattato di pace di Parigi
che confermava il Porto Franco di Trieste con annesso
divieto di tassazione eccedente il corrispettivo dei servizi
resi, in opposizione ad un aumento del 150% delle tasse e dei
diritti marittimi nei porti italiani previsto dalla legge 255 del 1991. Di
conseguenza il Consiglio di Stato, con parere del 21 marzo 1996, si era
espresso a favore di un regolamento ministeriale che consentisse
l'inapplicabilità della normativa generale nello scalo giuliano.
E’ paradossale, ma non inaspettato, che i sostenitori del Porto Franco di
Trieste risiedano a Berlino, Vienna e Budapest ma non a Roma impegnata
a gestire campanilistiche rivalità fra porti: particolarmente assurde in questo
caso visto che il porto giuliano lavora per il 90% con l’ estero mentre tutti i
porti italiani si rivolgono solo al mercato interno.
Si aggiunga che, finito il
lock-down, Trenitalia e
Alitalia hanno soppresso numerosi servizi passeggeri con la Penisola rendendo ancora più precari e complicati i collegamenti soprattutto
con Roma al punto da provocare proteste ufficiali delle Autorità locali.
Si è dunque accentuata la
Nel mondo uscito dalla pandemia, le
“supply chains” sono destinate ad essere più corte di prima e, contemporaneamente, alcune produzioni strategiche devono essere
riportate in Europa, non solo per creare occupazione e valore, ma anche per
permettere la disponibilità immediata dei prodotti considerati fondamentali,
dopo che è emersa in tutta la sua drammaticità la indisponibilità di prodotti
salvavita, a causa del trasferimento totale della loro produzione in paesi
extraeuropei.
Se Trieste possa diventare o meno uno dei centri produttivi e distributivi delle catene di valore europee dipende fondamentalmente dal governo italiano dove il ministro del MISE Patuanelli si è impegnato per il riconoscimento della piena extradoganalità dello scalo trovando però resistenze: certamente la strategia tedesca nel porto giuliano ci fa comprendere che non ci sono nemici o oppositori al di là delle Alpi.
Non solo il Porto è inserito nella “catena di valore” tedesca: si pensi anche al settore assicurativo con le triestine RAS, Lloyd Adriatico e SASA (assicurazioni navali) acquisite dalla bavarese Allianz - prima Compagnia al mondo nel settore delle assicurazioni - che a Trieste mantiene i centri elaborazione dati e molti uffici.
E’ un processo di reintegrazione di fatto
di Trieste nella Mitteleuropa che si sviluppa contestualmente all’
attivazione della faglia geopolitica che da sempre passa per Trieste e che la
pone al centro di tensioni internazionali sin dal secolo scorso (si pensi alla
“Cortina di Ferro da Stettino a Trieste” del famoso discorso di Churcill
nel 1946), come era parso evidente anche dalle pesanti reazioni, in particola
USA, alle notizie su possibili investimenti cinesi nel porto.
Illustri e disinformati personaggi politici e giornalisti si erano
sbilanciati nel dare per già venduto, anzi “svenduto”, ai cinesi
il Porto di Trieste, analogamente a quanto avvenuto con il Pireo.
Come si vede le cose non stavano così: sia perché nulla poteva essere venduto trattandosi di concessioni su proprietà pubbliche subordinate al
controllo dell’ Autorità Portuale, sia perché a sbarcare in forze è stata la
Germania (di cui tuttavia la Cina è il primo partner commerciale).
Trieste è un buon sismografo della
situazione internazionale ed ha già registrato le turbolenze
del confronto USA-Cina nei mari asiatici.
Il 26 agosto scorso il Segretario di Stato degli Stati Uniti
Mike Pompeo ha emesso un durissimo comunicato con cui, in conseguenza delle tensioni con la Cina nel Mar Cinese Meridionale, ha annunciato l’ inserimento nella “black list” della China Communications Constructions Company (CCCC) la gigantesca compagnia con cui nel marzo 2019 l’ Autorità Portuale di Trieste aveva firmato il memorandum d’ intesa riguardante una parte dello sviluppo ferroviario dello scalo, la partecipazione triestina nell’ importante interporto slovacco di Kosice e il progetto di export del vino italiano in Cina tramite apposite Zone Economiche Speciali in loco, in un quadro di evidente reciprocità.
Ma la CCCC tramite il suo ramo China Shipbuilding Group aveva siglato nel 2018
anche un accordo di cooperazione con la Fincantieri, cha ha sede a Trieste, e
con l’ americana Carnival per la costruzione di navi da crociera destinate al
mercato asiatico e la gestione dei terminal.
Tra i rami della CCCC c’è anche la ZPMC che è il più grande produttore mondiale
di gru da terminal container che serve, tra gli altri, una buona
metà dei porti americani.
E’ evidente che una messa al bando della
CCCC, già fortemente radicata in occidente, avrebbe conseguenze di difficile
gestione perfino negli USA.
Tuttavia l’ AD di Fincantieri Giuseppe Bono è ottimista perché l’ accordo
siglato non prevede il trasferimento di know how mentre il
Presidente dell’ Autorità Portuale rileva che “spetta a Roma indicarci
con quali soggetti possiamo trattare e noi prenderemo le precauzioni del caso”
facendo trasparire un maggior pessimismo sulla realizzazione di quanto previsto
dal memorandum soprattutto come conseguenza dei rallentamenti dovuti al
Covid. (Il Piccolo 16/9/20 pag. 18).
Stiamo dunque assistendo alla
connessione strutturale tra due città portuali europee finora
operanti su rotte antagoniste e tale da dare impulso a tutto il Nord Adriatico: Amburgo che si fregia del titolo di “Freie und
Hansestadt”-“Città Libera e Anseatica” essendo tuttora una
città-stato federata alla Repubblica Federale tedesca e Trieste che fino al
1918 aveva il titolo di “Reichsunmittelbare Stadt Triest und ihr Gebiet”-“Città
Imperiale di Trieste e dintorni”, Land autonomo nell’ Impero con
una propria Dieta (parlamento).
La Storia ha tuttora un suo peso soprattutto in queste terre che hanno vissuto sulla propria pelle il tormentato ‘900.
E' il primo, e finora unico, intervento di rilievo di un grande porto del Nord Europa in un porto europeo sul Mediterraneo.
HHLA recentemente è intervenuta anche nei porti di Tallin sul Mar Baltico e di Odessa sul Mar Nero ma la sua presenza a Trieste si annuncia decisamente come la più strategica.
Paolo Deganutti