Iniziamo un dibattito sul futuro post pandemia e sulle conseguenze sociali e geopolitiche della medesima con un articolo della famosa studiosa Naomi KLEIN e pubblicato in Italia dalla rivista L' Espresso. In esso l' autrice sostiene delle tesi "forti" e preoccupanti ma notoriamente è tutt' altro che una "complottista" anzi ha evidenziato nel suo ormai classico "No Logo" di 20 anni fa linee di tendenza che vediamo realizzate. Proseguiremo poi con un articolo di Parag Khanna.
"La dottrina dello shock pandemico: così i big digitali
usano il virus per conquistare il mondo"
Le grandi aziende della Silicon Valley come Amazon e Google stanno
approfittando dell'emergenza per intrecciarsi con la politica e imporre un
futuro a loro immagine e somiglianza. L'allarme della studiosa e attivista
canadese
DI NAOMI KLEIN
Pubblicato su L’ Espresso dell’11 giugno
2020
Durante
uno dei briefing sul coronavirus il governatore dello Stato di New York Andrew
Cuomo per qualche fugace istante ha sostituito l’espressione triste che aveva
da settimane con qualcosa che somigliava a un sorriso. «Siamo pronti e ci siamo
con tutte le nostre forze», ha detto il governatore. «Siamo newyorkesi e siamo
ambiziosi. Abbiamo capito che il cambiamento non è solo imminente, ma che può
anche essere un’opportunità se realizzato nel modo giusto».
A ispirare queste parole insolitamente positive di Cuomo era
stato un collegamento video con l’ex ad Google, Eric Schmidt, che si era unito
al briefing del governatore per annunciare la sua nuova posizione nella
commissione che dovrà reimmaginare la realtà dello Stato di New York
post-Covid, con un’enfasi sull’integrazione permanente della tecnologia in ogni
aspetto della vita civile. «Le nostre priorità», ha detto Schmidt, «sono
focalizzate sulla sanità, sull’istruzione in remoto e sulla banda larga. (...)
Dobbiamo individuare soluzioni già pronte che possano essere accelerate e che
utilizzino la tecnologia per fare meglio». Per non lasciare dubbi su quanto
siano solo benevoli gli obiettivi dell’ex top manager di Google, lo sfondo
mostrava un paio di ali d’angelo dorate.
Proprio il giorno prima, Cuomo
aveva annunciato una collaborazione analoga con la Bill e Melinda Gates
Foundation per sviluppare «un sistema educativo più intelligente».
Definendo Gates un «visionario», Cuomo ha spiegato che la pandemia ha creato
«un momento nella storia in cui possiamo incorporare e far avanzare le idee (di
Gates, ndr). Tutti questi edifici, tutte queste aule fisiche... che senso
hanno, con tutta la tecnologia che potete mettere a disposizione?», ha chiesto,
all’apparenza solo in maniera retorica.
C’è voluto un po’ di tempo perché prendesse forma, ma ora
comincia a emergere qualcosa che somiglia molto a una vera e
propria dottrina dello shock pandemico. Mentre i corpi ancora si accumulano, il futuro che prende
forma - e che è molto più high-tech di quello innescato dalle catastrofi precedenti
- considera le nostre settimane di isolamento fisico non una dolorosa necessità
per salvare vite umane ma un laboratorio permanente e altamente redditizio di
un futuro senza contatto fisico.
Anuja Sonalker, l’ad di Steer Tech, una società con sede nel
Maryland che vende tecnologia per parcheggi automatizzati, ha riassunto il
nuovo scenario rimodellato sul virus: «Cominciamo a osservare un marcato trend
verso la tecnologia che non prevede il contatto tra gli esseri umani. Gli
esseri umani sono a rischio biologico, le macchine no».
È un futuro nel quale le nostre case
non saranno più spazi personali ma terminali di connettività digitale ad alta
velocità. E così anche le
nostre scuole, i nostri studi medici, le nostre palestre e, se così vorrà lo
Stato, le nostre prigioni.
Naturalmente, per molti di noi, già prima della pandemia le
case stavano diventando il luogo di lavoro dove non si stacca mai e la
principale sede dell’intrattenimento. L’incarcerazione in comunità sorvegliate
si stava già diffondendo a macchia d’olio. Nel futuro che si sta costruendo
rapidamente, queste tendenze sembrano accelerare.
È
un futuro nel quale ai
privilegiati quasi tutto sarà consegnato a domicilio -
virtualmente tramite streaming e tecnologia cloud o fisicamente tramite veicoli
a guida autonoma - e il tutto poi sarà “condiviso” su una piattaforma gestita
da qualcuno. È un futuro che impiegherà molti meno insegnanti, medici e
autisti; che non accetterà contanti o carte di credito (con il pretesto di
controllare i virus); nel quale il trasporto pubblico diventerà striminzito e
l’arte dal vivo sarà sempre più scarsa. È un futuro che, si dice, sarà
gestito dall’intelligenza artificiale, ma che in realtà sarà tenuto insieme da
decine di milioni di lavoratori anonimi nascosti nei magazzini e nei data
center, ammassati in uffici dove si moderano i contenuti o in fabbriche di
elettronica, nelle miniere di litio, nei complessi industriali, nei mattatoi e
nelle prigioni, esposti alle malattie e all’ipersfruttamento. È un futuro nel quale
ogni nostra mossa, ogni nostra parola, ogni nostra relazione sarà
rintracciabile, tracciabile, con una miniera di dati immagazzinati grazie a una
collaborazione senza precedenti tra governi e giganti della tecnologia.
Se tutto ciò vi suona familiare, è perché già prima del Covid
questo futuro fatto da app e lavori saltuari ci era venduto come conveniente,
rilassante e personalizzato.
Molti di noi, tuttavia, erano preoccupati: per la sicurezza,
la qualità e la disuguaglianza insite nella telesanità e nella scuola online o
per come i dati sulla geolocalizzazione e il commercio senza contanti intaccano
la nostra privacy e rafforzano la discriminazione razziale e di genere. Eravamo
preoccupati sui dati nelle mani di piattaforme di social media senza scrupoli
che avvelenano l’ecosistema informativo e la salute mentale dei nostri figli;
per le “città intelligenti” piene di sensori che sostituiscono
l’amministrazione locale; per i buoni posti di lavoro che queste tecnologie
hanno spazzato via e per i brutti posti di lavoro che hanno prodotto in serie.
Soprattutto, però, eravamo preoccupati per la
ricchezza e il potere, così minacciosi per la democrazia, che si stavano
accumulando nelle mani di poche società della tecnologia molto brave
ad abdicare da qualsiasi responsabilità rispetto alla distruzione che si
lasciano dietro nei settori in cui dominano: i media, il commercio al
dettaglio, il trasporto.
Oggi molte di quelle fondate preoccupazioni sono state
spazzate via da un’ondata di panico e da una sempre più accettata distopia - al
cui riposizionamento d’immagine si sta lavorando in fretta e furia. Di fronte a
un contesto straziante di morti in massa, tutto ciò ci è riproposto con la
dubbia promessa che queste tecnologie sono l’unica via possibile per
salvaguardarci dalla pandemia e la chiave indispensabile per proteggere noi e i
nostri cari.
Grazie
a Cuomo e alle sue partnership miliardarie (tra cui una con Michael Bloomberg
per testare e per tracciare i potenziali malati), lo
Stato di New York è diventato lo scintillante showroom di questo cupo futuro, la cui reale
portata va ben oltre i confini di uno Stato o un Paese.
Nel punto d’ombra di tutto ciò c’è Eric Schmidt. Ben prima
che negli Stati Uniti si comprendesse l’entità della minaccia Covid-19, Schmidt
aveva già intrapreso una aggressiva campagna di pubbliche relazioni e lobbying
per promuovere proprio la visione di quella società alla Black Mirror, il
potere di costruire la quale Cuomo gli ha appena affidato. Al centro di questa
visione, che vuole che scuole, ospedali, studi medici, polizia e altri corpi
militari deleghino molte delle loro funzioni principali a società della
tecnologia private, c’è la perfetta integrazione dei governi con un piccolo
numero di giganti della Silicon Valley.
La sta promuovendo Schmidt dal suo ruolo duplice di
presidente del Defense Innovation Board, che consiglia il Dipartimento della
Difesa sui modi per incrementare l’utilizzo dell’intelligenza artificiale in
campo militare, e di presidente della potente Commissione per la sicurezza
nazionale sull’intelligenza artificiale, la Nscai, che fa da consulente al
Congresso sui «progressi nell’intelligenza artificiale e i relativi sviluppi
nel machine learning e altre tecnologie associate» al fine di affrontare
«esigenze di sicurezza nazionale ed economica degli Stati Uniti, incluso il
rischio economico». In entrambi questi
organismi siedono numerosi e potenti ceo e dirigenti della Silicon Valley e di
aziende quali Oracle, Amazon, Microsoft, Facebook e, naturalmente, Google. Schmidt, che
detiene più di 5,3 miliardi di dollari in azioni Alphabet (la società madre di
Google), sta sostanzialmente “collaudando” Washington per conto della Silicon
Valley.
Lo scopo principale è di ottenere
un aumento esponenziale degli investimenti pubblici per la ricerca
sull’intelligenza artificiale e le infrastrutture tecnologiche come il 5G, che andrebbero a
beneficio diretto delle società nelle quali Schmidt e altri membri di questi
consigli detengono ampie partecipazioni.
Dapprima a porte chiuse con i legislatori, poi nei dibattiti
e nelle interviste pubbliche, l’argomento principale della tesi di Schmidt è
che poiché il governo cinese è pronto a spendere illimitate risorse pubbliche
per costruire una infrastruttura di sorveglianza ad alta tecnologia, la
posizione dominante degli Stati Uniti nell’economia globale si sta avvicinando
a uno sfaldamento. Il Centro per l’informazione sulla privacy elettronica
(Electronic Privacy Information Center) è recentemente riuscito a visionare,
grazie al Freedom of Information Act, una presentazione della Nscai di Schmidt
di un anno fa, del maggio 2019. Le diapositive sottolineano in maniera
allarmistica quanto la Cina stia tentando di superare gli Usa in una serie di
settori, tra cui l’Ai per la diagnosi medica, i veicoli autonomi, le
infrastrutture digitali, le città intelligenti, lo sharing nel trasporto e
l’eliminazione di ogni contatto dalle transazioni commerciali.
Le ragioni che spiegherebbero il vantaggio competitivo della
Cina vanno dal vasto numero di consumatori che fanno acquisti online fino al
fatto che lì «non sussiste un settore bancario tradizionale» e ciò le ha
permesso di saltare la fase dei contanti e delle carte di credito e di lanciare
un gigantesco mercato dell’e-commerce e dei servizi con pagamenti digitali.
Inoltre la grave carenza di medici ha spinto il governo a una stretta
collaborazione con le aziende della tecnologia, quali Tencent, per promuovere
la medicina “predittiva” che l’Ai abilita. La presentazione sottolinea anche
come in Cina queste società siano «abbastanza forti da superare rapidamente
barriere normative» mentre quelle statunitensi si impantanano nell’ottemperare
alle leggi e nell’attesa di approvazioni.
Come principale fattore del vantaggio competitivo cinese, la
Nscai indica la volontà della Cina di stringere partenariati pubblico-privati
per la sorveglianza di massa e la raccolta di dati. La presentazione ne rimarca il «sostegno e coinvolgimento
espliciti del governo cinese, per esempio, nell’implementazione del
riconoscimento facciale», e spiega che «la sorveglianza è uno dei principali e
migliori clienti dell’Ai» e che, inoltre, «la sorveglianza di massa è una fonte
di dati fondamentale per il deep learning», uno dei sottosettori dell’intelligenza
artificiale.
Una diapositiva intitolata “I dati detenuti dallo Stato:
sorveglianza = città intelligenti” fa notare quanto la Cina, assieme al
principale concorrente di Google, la cinese Alibaba, stiano bruciando le tappe.
Vale la pena di soffermarsi su ciò, perché la
società madre di Google, Alphabet, ha promosso esattamente questa stessa
visione tramite la sua divisione Sidewalk Labs scegliendo un
lungo tratto del lungomare cittadino di Toronto come laboratorio e prototipo
per una “smart city”. Il progetto Toronto è stato concluso dopo due anni di
incessanti polemiche relative alla enorme quantità di dati personali che
Alphabet-Google avrebbe raccolto.
Cinque mesi dopo questa presentazione, a novembre, la Nscai
ha sottoposto al Congresso una bozza di rapporto che ha destato ulteriori
preoccupazioni riguardo all’esigenza che gli Usa si adeguino al ritmo cinese
quanto su queste tecnologie. «La nostra competizione è strategica, l’Ai ne sarà
al centro. Sono in gioco il futuro della nostra sicurezza nazionale e della
nostra economia», si legge.
A fine febbraio, Schmidt ha spostato il target della sua
campagna sull’opinione pubblica, forse dopo aver capito che gli aumenti di
budget richiesti non sarebbero stati approvati senza un maggiore sostegno
generale. In un editoriale del New York Times intitolato “Dirigevo Google. Ora
la Silicon Valley potrebbe perdere la gara con la Cina”, Schmidt, suonando
ancora l’allarme contro il pericolo giallo, sollecitava «partnership tra
governo e industria come non si sono mai viste». Secondo Schmidt la Cina è in
corsa per diventare il primo innovatore al mondo. E l’unica soluzione perché
gli Usa non perdano la sfida è l’investimento pubblico. Lodando la Casa Bianca
per aver chiesto un raddoppio dei finanziamenti per la ricerca nell’Ai e nella
ricerca quantistica, Schmidt scrive: «Il nostro piano dovrebbe prevedere un
raddoppio dei finanziamenti in questi campi mentre costruiamo la capacità
istituzionale nei laboratori e nei centri di ricerca. (...) Il Congresso
dovrebbe soddisfare la richiesta del presidente di portare al massimo livello
degli ultimi 70 anni il finanziamento della R&S nella difesa e il
Dipartimento della Difesa dovrebbe capitalizzare su questa nuova ondata di
risorse per costruire capacità di assoluta avanguardia nell’Ai, la quantistica,
l’ipersonica e le altre aree di priorità tecnologica».
Ciò accadeva esattamente due settimane prima che l’epidemia
del coronavirus fosse dichiarata pandemia, e in tutti quei documenti non c’era
alcun accenno a un obiettivo di vasta portata dell’alta tecnologia riguardo
alla protezione della salute dei cittadini Usa, ma solo la necessità di non
lasciarsi superare dalla Cina.
Nei due mesi successivi, Schmidt, con un aggressivo esercizio
di riposizionamento di immagine, ha riproposto le sue richieste: un’ingente
spesa pubblica in ricerca e infrastrutture per l’alta tecnologia, numerosi
«partenariati pubblico-privati» nel settore della Ai e un allentamento delle
tutele della privacy e della sicurezza. Ora queste misure (e altre) sono
presentate al pubblico come l’unica speranza di proteggersi dal virus che
resterà tra noi per gli anni a venire.
Anche le altre società della tecnologia con le quali Schmidt
ha profondi legami si sono tutte rifatte l’immagine come benefattori, protettori
della salute pubblica e generosi difensori dei lavoratori essenziali ed “eroi
quotidiani” (molti dei quali, peraltro, come i driver e gli autisti,
perderebbero il posto di lavoro se queste aziende l’avessero vinta).
A meno di due settimane dall’inizio del lockdown a New York,
Schmidt ha scritto un editoriale per il Wall Street Journal in cui chiariva che
la Silicon Valley aveva tutte le intenzioni di sfruttare la crisi per una
trasformazione permanente. Due settimane dopo la pubblicazione dell’editoriale,
Schmidt ha descritto il programma di scuola a distanza durante l’emergenza
sanitaria come «un gigantesco esperimento di apprendimento remoto». Durante lo
stesso discorso (all’Economic Club di New York) ha anche richiesto più
telemedicina, più 5G, più commercio digitale e il resto della sua lista dei
desideri. Tutto in nome della lotta contro il virus. Schmidt ha poi aggiunto:
«Il vantaggio delle corporation è che la loro capacità nella comunicazione,
nella gestione della medicina, nel raccogliere informazione è profonda. (...)
Le persone dovrebbero essere contente che queste aziende abbiano raccolto i
capitali, fatto gli investimenti e costruito gli strumenti che ora stiamo
usando e che ci hanno aiutato».
Fino a poco tempo fa contro queste società della grande
tecnologia stava montando un movimento di opinione pubblica. I candidati
presidenziali democratici parlavano apertamente di spezzettarle. Amazon aveva dovuto ritirare i piani per costruire un
quartier generale a New York dopo una feroce opposizione locale. Il progetto
Sidewalk Labs di Google passava da una crisi all’altra. In breve, è stata la
democrazia - quello scomodo impegno pubblico teso a progettare le istituzioni e
gli spazi pubblici critici - a rivelarsi il principale ostacolo alla visione che
Schmidt porta avanti, prima dalla sua posizione al vertice di Google e
Alphabet, poi da presidente delle due potenti commissioni consulenti del
Congresso e del Dipartimento della Difesa. Dal punto di vista di uomini come
Schmidt e il capo di Amazon, Jeff Bezos, questo scomodo esercizio di potere da
parte dei cittadini e degli impiegati dei colossi della tecnologia, come
rivelano i documenti della Nscai, ha rallentato marcatamente la corsa
dell’intelligenza artificiale e tenuto lontane dalle strade flotte di auto e
camion a guida autonoma, ha evitato che le cartelle cliniche delle persone
diventassero un’arma nelle mani dei datori di lavoro contro i lavoratori,
impedito che gli spazi urbani si tappezzassero da dispositivi e software di
riconoscimento facciale e molto altro.
Ora, con
la pandemia e nella paura sul futuro che essa ha provocato, queste aziende
hanno individuato un nuovo momento favorevole per spazzare
via l’impegno democratico, e ottenere lo stesso tipo di potere che hanno i loro
concorrenti cinesi, che possono permettersi il lusso di agire senza ostacoli
quali diritti civili o dei lavoratori.
Le cose intanto si muovono rapidamente. Il
governo australiano ha stipulato un contratto con Amazon per immagazzinare nel
suo cloud i dati della controversa app di tracciamento del coronavirus. Anche il governo
canadese ha stipulato un contratto con Amazon per la fornitura di attrezzature
mediche, sollevando dubbi sul perché non l’abbia fatto con il servizio postale
pubblico. In una manciata di giorni, all’inizio di maggio, Alphabet ha
rilanciato una iniziativa del Sidewalk Labs per rifare l’infrastruttura urbana
con 400 milioni di dollari di “seed capital”. Josh Marcuse, il direttore
esecutivo della Commissione per l’innovazione nella difesa Usa (quella presieduta
da Schmidt) ha annunciato che lascerà l’incarico per assumere il ruolo di
responsabile della strategia e l’innovazione per il settore pubblico globale a
Google: in altre parole, per aiutare Google a capitalizzare su alcune delle
opportunità che lui e Schmidt hanno creato grazie al loro sforzo lobbista.
Che sia chiaro: la tecnologia è certamente una parte
fondamentale di come nei prossimi mesi e anni si proteggerà la salute pubblica.
La domanda, tuttavia, è: tale tecnologia sarà soggetta
alla disciplina della democrazia e del controllo pubblico o sarà lanciata nel
bel mezzo della frenesia dello stato di eccezione, senza lasciare il tempo per
un dibattito sulle questioni cruciali che modelleranno la nostra vita per i
decenni a venire? Per esempio, se stiamo effettivamente constatando
quanto sia importante la connettività digitale in tempi di crisi, le reti e i
nostri dati devono davvero stare nelle mani di attori privati quali Google,
Amazon e Apple? Se il pubblico sborsa notevoli risorse per buona parte della
connettività, non dovrebbe anche possedere con e controllare le reti e i dati?
Se Internet è essenziale nella nostra vita, come chiaramente è, non dovrebbe
essere considerato alla stregua degli altri servizi pubblici e non avere scopi
di lucro?
Se da una parte non c’è dubbio che la possibilità di
comunicare in teleconferenza sia stata un’ancora di salvezza in questo periodo
di blocco, è anche doveroso un dibattito sul fatto che a lungo andare forse la
migliore protezione sia quella delle persone. Si prenda l’istruzione: Schmidt
ha ragione nel dire che le aule sovraffollate rappresentano un rischio per la
salute, almeno fino a quando non avremo un vaccino. Perché allora non assumere
un numero doppio di insegnanti e dimezzare le classi? Perché non
garantire che ogni scuola abbia un infermiere? Ciò creerebbe posti di lavoro
indispensabili in una fase di crisi.
I risultati del periodo di apprendimento remoto inoltre sono
stati tutto fuor che rassicuranti. Oltre all’ovvia discriminazione sociale che ha
colpito i bambini che a casa non hanno accesso a Internet o a un pc, sussistono
domande importanti su quanto l’insegnamento remoto sia valido per molti bambini
con disabilità, come richiesto dalla legge. E non esiste una soluzione
tecnologica al problema di fare scuola in un ambiente domestico sovraffollato
e-o abusivo.
Il quesito non è se le scuole debbano cambiare di fronte a un
virus altamente contagioso. Il problema, come sempre in questi momenti di shock
collettivo, è l’assenza di un dibattito pubblico sulla forma che dovrebbero
prendere questi cambiamenti e chi ne dovrebbe beneficiare. Le società della
tecnologia private o gli studenti?
Le stesse domande devono essere poste sulla sanità. Evitare
gli studi medici e gli ospedali durante una pandemia è di buon senso, ma la
telemedicina ha enormi limiti. Occorre discutere, sulla base di informazioni
documentate, quali siano i pro e i contro del destinare le scarse risorse
pubbliche alla telemedicina, invece di investirle negli infermieri per qualificarli
e dotarli di dispositivi di protezione. E forse più urgente ancora è trovare il
giusto equilibrio tra le app di tracciamento dell’infezione e l’idea di un
corpo sanitario di comunità che darebbe lavoro a milioni di persone garantendo
che tutti dispongano delle risorse materiali e del supporto necessario per
tenere in quarantena in sicurezza le persone.
In entrambi i casi, affrontiamo scelte reali e difficili. Si
tratta di scegliere se investire nelle persone o nella tecnologia. Perché la
brutale verità è che, così come stanno le cose, è improbabile che si possano
fare entrambe le cose. Le scuole, le università, gli ospedali e i trasporti
sono davanti a scelte esistenziali.
Traduzione di
Marina Parada
Pubblicato su L’ Espresso dell’11 giugno 2020
·
I
libri di Naomi Klein pubblicati in Italia:
·
Shock politics. L'incubo Trump e il futuro della
democrazia, Milano, Feltrinelli, 2017. ISBN 8807173263.